In Italia e sopratutto in Toscana il design è confronto con la tradizione, è saper fare artigianato con innovazione, è ricerca sapiente di forme e materia. Questo vale oggi come in passato, ce ne da testimonianza attiva il progetto Archivio Michelucci Artigiano promosso dalla Fondazione Michelucci, con sede in Villa Roseto, che fu casa studio dell’architetto Michelucci, situata sulle splendide colline di Fiesole da cui si domina la città di Firenze.
La Fondazione nel suo archivio conserva e promuove l’heritage dell’architetto Giovanni Michelucci, uno dei protagonisti dell’architettura del XX secolo, celebre per essere stato il coordinatore del Gruppo Toscano, vincitore al Concorso per il Fabbricato viaggiatori della stazione di Firenze Santa Maria Novella, e l’autore del progetto della chiesa dell’Autostrada del Sole.
Michelucci è noto come architetto ed urbanista, ma nella sua lunga carriera è stato impegnato anche sul fronte della progettazione di elementi d’arredo, disegnati per gli ambienti delle sue architetture o, in serie limitate, per il mercato in collaborazione con artigiani di grande competenza. Recentemente una collezione di arredi che porta appunto il titolo di Archivio Michelucci Artigiano è stata rieditata dal Gruppo Falegnameria Fantacci Design, una iniziativa che ha ridato vita a progetti senza tempo. Archivio Michelucci Artigiano è anche memoria di una storia di sincera amicizia, quella tra l’architetto Giovanni Michelucci e gli artigiani Marcello e Sergio Fantacci, che all’epoca avevano prodotto questi elementi d’arredo.
Abbiamo incontrato Corrado Marcetti, Direttore della Fondazione Michelucci, per farci raccontare questa esperienza di vita dell’architettoper buona parte conservata nelle memorie della Fondazione.
Le riedizioni Archivio Michelucci Artigiano del Gruppo Fantacci hanno dato vita a pezzi di design che erano stati progettati per specifiche opere o per produzioni indipendenti da particolari contesti?
Molti dei progetti di arredo riguardavano ville o case unifamiliari e avevano avuto una genesi specifica. La collaborazione con i Fantacci ha riguardato sia questo tipo di situazioni che ambienti particolari come sale conventuali e altri spazi sacri, uffici bancari, la sala riunioni di un gruppo editoriale. Ma soprattutto, grazie alla stima di Michelucci per il lavoro della falegnameria, furono avviate piccole produzioni di pezzi per il paesaggio domestico più generale. . Michelucci si è sempre considerato un artigiano, cresciuto nel mondo artigiano. La sua famiglia (nonno, padre, fratelli) era stata impegnata nell’artigianato artistico del ferro e lui stesso ricordava “di aver mangiato ferro sin da bambino”. Nell’ambito delle Officine di famiglia aveva conosciuto non solo architetti come Michelazzi o i Coppedé che vi si recavano per le parti in ferro delle loro opere ma anche valenti artigiani del legno che facevano i modelli dei pezzi che sarebbero stati realizzati in officina. La passione per la lavorazione del legno aveva dunque per Michelucci origini lontane .
Il suo considerarsi artigiano non veniva meno neppure quando lavorava su opere di grande complessità come la Chiesa sull’autostrada e la sua attenzione al sapere artigiano delle maestranze si rifletteva in un coinvolgimento pieno nell’ambito del cantiere.
Quindi diciamo che il suo “essere artigiano” lo porta a disegnare il particolare e ad avere una attenzione al dettaglio, un approccio diverso da quella architettonica di una visione più generica e globale del progetto?
Era un uomo sempre attento alla visione della città, alla visione grande, però avendo appreso sin da ragazzino la capacità dell’uomo di dar forma alla materia, ferro o legno che sia, per rispondere a precise esigenze, sapeva che l’attenzione alla qualità del dettaglio non andava perseguita per una ricerca di formalismo ma per una alta considerazione dell’abitare umano.
Questo sapere artigiano oggi si è un po’ perso, si è perso il collegamento con la materia?
Io penso che molte delle opere di architetture degli anni ’40, ’50, ’60 e ‘70 anche di allievi di Michelucci di grande valore, come Ricci o Savioli, oggi sarebbe difficile farle con quella qualità diffusa, perché quella qualità di “sapere artigiano”, che si ritrova nella tessitura dei muri come nelle pavimentazioni oppure in certi arredi, è veramente difficile riprodurla. Oggi questa qualità si è in gran parte persa e invece c’è un grande bisogno di ricostruire un rapporto con un sapere artigiano rinnovato. E ciò andrebbe incontro anche ad esigenze non solo formative delle giovani generazioni, che riscoprono valori e interessi in questo campo. Anche questo è lo sforzo del progetto che stiamo portando avanti con il Gruppo Fantacci, mettere in collegamento il sapere artigiano che ha radici lontane con i saperi nuovi della società contemporanea.
Cosa porta al design contemporaneo questa riedizione nata dalla collaborazioni di Gruppo Fantacci con Fondazione Michelucci.?
Può portare il profumo del legno, il piacere della materia, l’anima del design.
Forse la distinzione che si è operata tra artigianato e design in qualche modo ha fatto perdere l’interezza del progetto?
E’ questo il punto, aver separato strade che potevano dialogare come invece voleva Michelucci. Il Professore non partiva dal voler fare di una sedia una scultura, la Scapolare, ad esempio, nasce per far stare il più comodamente possibile le donne che dovevano allattare. Da questo studio delle esigenze precise nasceva la forma e che portava a sintesi tutte le questioni: le esigenze complesse dell’essere umano, non sono quelle materiali e fisiche, devono ritornare ad essere elemento sostanziale nella produzione della forma dell’abitare. Arte, architettura, design hanno bisogno di ritrovare la carne della società perché in gran parte l’hanno perduta.
Una domanda sulla Fondazione: come è essere custodi di un archivio come questo che comprende il lavoro di una vita di un architetto importante?
Siamo custodi attivi, Michelucci non ha mai voluto che la Fondazione fosse un luogo museificato, ha sempre voluto che ci fossero attività che riguardassero i nodi cruciali della città e della società, non ha mai voluto che la sua opera fosse l’oggetto centrale di interesse della Fondazione. Nell’assolvere questo ruolo di salvaguardia, di tutela e valorizzazione del pensiero e dell’opera di Michelucci ci è chiara la necessità di mettere questo nostro lavoro a disposizione della collettività.
Qual’è il rapporto della fondazione con la città di Firenze?
C’è un profondo legame della Fondazione non solo con Firenze ma anche con Fiesole e Pistoia, abbiamo sempre cercato di dare il nostro contributo alla risoluzione dei problemi più spinosi, come diceva Michelucci alle cronicità urbane. A volte questo ci ha portato in attrito ma ciò fa parte della dialettica che una istituzione culturale come la nostra ha con le realtà in cui opera.
Quali sono le future attività della Fondazione?
Lavoriamo su più campi di impegno e ora sarebbe troppo lungo parlarne. Mi soffermo allora su questa esperienza che stiamo facendo per rilanciare il Michelucci artigiano con il Gruppo Fantacci. Penso che sia una grande scommessa, una sfida che può aiutare quel percorso di riflessione e ricerca sul fare artigianato oggi.