Arredativo Design Magazine

Nuove frontiere per il Design: Arredativo incontra lo studio Dotdotdot

Il Design è una scoperta continua, se è come nel caso dell’interaction design, è una realtà in divenire allora il viaggio si fa davvero interessante…

Nei mesi scorsi, abbiamo dedicato spazi ed approfondimenti al rapporto tra design e tecnologia, ma c’è ancora molto da vedere e da sapere.

Noi ce lo siamo fatti raccontare da dotdotdot, lo studio di progettazione multidisciplinare che fonde l’architettura, l’allestimento, il design con l’interaction design e l’innovazione tecnologica.

Vi abbiamo parlato  di loro, mostrandovi i loro  lavori in un articolo di qualche mese fa. Ora con tutta la curiosità che contraddistingue il viaggio di Design Hero, ci facciamo raccontare direttamente da loro, cosa significa progettare con la tecnologia…

 

 

1. Come nasce lo studio dotdotdot e come avete iniziato ad interessarvi alla tecnologia e ai nuovi media importandoli nei vostri lavori?

Abbiamo iniziato a lavorare insieme un po’ per gioco, 20 anni fa, organizzando happening d’arte, teatro e musica. Poi la passione per il progetto e la ricerca hanno preso il sopravvento e noi 4 – Laura Dellamotta, Giovanna Gardi, Alessandro Masserdotti e Fabrizio Pignoloni – abbiamo deciso di fondare lo studio dotdotdot nel 2004. Ci occupiamo di architettura, allestimento, interaction design: progetti multidisciplinari dove gli aspetti spaziali tradizionali vengono contaminati dalle nuove tecnologie e nuovi media.

 

La tecnologia fa parte della nostra epoca, della nostra quotidianità… è stato un processo naturale includerla nei nostri lavori.

 

2. I vostri progetti spaziano in molti campi, ma la componente “tecnologica” è sempre presente. Cosa vi piace e ispira di più del rapporto progetto / allestimento e interazione tecnologica?

Prevedere i comportamenti di chi i nostri progetti li fruirà e progettare lo spazio e l’interazione in funzione di questi. Da qui anche il nostro nome dotdotdot ovvero puntini di sospensione: i nostri progetti lasciano spazio al visitatore, è lui a completarli con la sua personale fruizione dello spazio, con i suoi comportamenti.

Ogni progetto è un testo che racconta una storia – fatta di incontri, occasioni, scoperte e innovazioni – che si arricchisce di contenuti proprio grazie al confronto con le persone. L’osservazione dei comportamenti è, infatti, il fondamento delle installazioni firmate dotdotdot: progetti narrativi che illustrano una storia, a chi la vuole vedere, vivere e ascoltare.

 

3. Dai vostri progetti appare evidente come la tecnologia possa entrare nel progetto a vari livelli: per emozionare, per comprendere / istruire, per raccontare: quale secondo voi è il migliore uso che se ne può fare?

L’uso migliore è sempre quello che va in funzione del bisogno… noi partiamo sempre dalla necessità del cliente e da questa scegliamo in che direzione andare, quali scelte fare.  La tecnologia è un mezzo molto flessibile, che si adatta a esprimere diversi livelli di informazioni e differenti stati d’animo.

Riusciamo a trasformare la tecnologia in uno strumento poetico, non solo funzionale.

4. Quanto, la presenza dell’interazione tecnologica nella vita quotidiana, si può dire “figlia di questa società”? Quando secondo voi è avvenuto il passaggio o forse siamo in una fase di transito e il cambiamento è ancora in corso?

Siamo solo all’inizio del percorso… c’è ancora tanto da fare, pensate agli sviluppi legati all’internet of things: un nuovo paradigma che prevede il moltiplicarsi di oggetti intelligenti, che, connettendosi gli uni agli altri per scambiare informazioni, rendono più facili ed efficienti le nostre vite.

 

 

5. In base alla vostra esperienze trovate che il visitatore sia maturo per interagire con il progetto. Ci sono fasce di età che sono più predisposte, tipo i cosiddetti “nativi digitali”?

Sicuramente i bambini sono i più predisposti, sono quelli con meno tabù digitali. Un buon progetto di interaction design è quello che avvicina l’utente, senza respingerlo a causa della troppa complessità. Diciamo che il nostro motto è la semplicità nella complessità, semplicità dell’interazione nella complessità del sistema.

6. Spesso innovazione nel progetto si traduce in maggiore comfort (come nel caso del vostro progetto CASA.ITALO), in questo senso come immaginate il futuro, quanto è importante una committenza illuminata su questo tipo di progetto?

Immaginiamo che la tecnologia debba essere e sarà sempre di più al servizio dei bisogni della collettività e alla portata di tutti. Semplice da utilizzare, sempre più integrata nelle “cose” che diventeranno sempre più “intelligenti”. La indosseremo, sarà parte di noi.

La committenza illuminata è la base di partenza, il trampolino di lancio per un buon progetto che contempli innovazione e ricerca. Ci piace l’idea di accompagnare il cliente in un percorso condiviso di crescita e sviluppo, ponendoci come consulenti e non solo come fornitori di un servizio.

 

 

7. Nei vostri lavori vi siete avvicinati anche al mondo dei Maker. Pensate possa aggiungere qualcosa al Design contemporaneo ?

Più che avvicinati al mondo dei maker, possiamo dire di essere maker da quando abbiamo iniziato a lavorare. Da sempre, dato il forte carattere sperimentale e di ricerca dei nostri progetti, abbiamo autocostruito i prototipi dei nostri lavori per verificarne le funzionalità effettive e per ingegnerizzarli al meglio.

È proprio per questo che per festeggiare i 10 anni di dotdotdot ci siamo regalati Opendot, un fablab aperto a tutti dove abbiamo tutto ciò che ci serve per fare prototipazione rapida: macchine per la digital fabrication, laboratorio di elettronica, falegnameria. Diciamo che è un posto dove si può fare tutto… o quasi!

Qui abbiamo organizzato corsi, workshop e talk, dalla biomimicry al design for all, dall’interaction design ai pop-up interattivi e alla saldatura. Collaboriamo con istituzioni, università e aziende, come IKEA e Auchan, che si sono aperte verso il mondo maker.