Di Luca Nichetto e dei suoi progetti più recenti, vi abbiamo parlato qualche giorno fa. Tra i lavori di quest’anno firmati dal designer veneto, c’è Pala, un progetto per Artfort, storica azienda olandese con ben 125 anni di esperienza, nota a livello internazionale, specie per le sue collaborazioni degli anni Sessanta, con il designer francese Pierre Paulin .
Nei giorni del Salone del Mobile 2017 abbiamo incontrato il designer in Fiera, a Rho. Una interessante conversazione durante la quale, abbiamo parlato di questo progetto scoprendo altre sfaccettature del suo lavoro di designer .
Quale è stata l’ispirazione per il progetto di Pala di Artifort?
Lavorando con Artifort, che una azienda con una tradizione fortissima molto legata al lavoro di Pierre Poulen, ho pensato di lavorare sulla sedia composta da tre linee inclinate, tipiche di molte loro lounge chair.
Volevo qualcosa in cui il corpo quasi sprofondasse, come una conchiglia. Una forma ergonomica che desse un estetica al progetto. Lavorando in questa direzione mi è venuta l’idea di una pala, che sostiene la schiena e il corpo. Poi l’idea era quella di fare una swivel con la base non visibile, ma integrata tutto in un’estetica più compatta.
Tu lavori con brand internazionali, lavorando quindi con aziende di tutto il mondo noti delle differenze, acquisisci qualcosa dei loro diversi modi di lavorare?
Già ogni azienda ha un suo modo di lavorare, ma certo la nazione, influenza ancora di più il modo di relazionarsi. Però questa è la cosa più bella del fare il designer. Scoprire di poter lavorare per diversi tipi di culture è la conferma che nel 2017 siamo in un mondo globale.
Quest’anno al Salone hai presentato anche il progetto con Salviati esposto in Ventura Centrale, come è nato?
Salviati è stata la mia prima azienda, di sempre. Se faccio questo lavoro è anche grazie a loro che nel 1999 da sconosciuto mi han dato l’opportunità di fare prodotto.
Dopo, come quasi tutte le aziende di Murano ha avuto alti e bassi economici . Da due anni sono stati acquistati da un gruppo, che la sta rilanciando. E’ capitato che conoscendo tante persone che sono ancora all’interno dell’azienda parlando con loro, mi hanno detto: “sarebbe bello far qualcosa adesso che abbiamo l’opportunità“.
Io ho detto, va bene. Però volevo fare qualcosa che mostrasse che l’azienda è viva ed ha capacità produttive. Quindi abbiamo cercato di lavorare su questa installazione riscoprendo anche tutta una serie di concetti legati alla tradizione di Salviati.
Negli anni ’50/ ’60 facevano delle enormi installazioni luminose, poi negli anni, questo è un po scomparso per concentrarsi più nell’oggettistica.
Il lavoro che abbiamo portato in Ventura Centrale, lo abbiamo fatto con Ben Gorham di byredo. La cosa molto bella è stato collaborare con Ben, che arriva da un mondo completamente diverso, quello del lifestyle, ragiona sempre in modo creativo ma in maniera totalmente complementare al mio. E’ stato bello scoprire questo tipo di collaborazione e alla fine abbiamo interpretato il vetro, raccontato le caratteristiche del vetro di Murano. In una hall, abbiamo raccontato la stratificazione. In un’altra hall abbiamo lavorato sul tema decorativo, che diventa oggetto luminoso e dall’altra invece più legato alla modularità, diventa elemento architettonico. Quindi cercando di fare 2 oggetti con anime diverse ma che mettono in campo la percezione del lavoro fatto a mano.
Tu sei anche art director per alcune aziende, che significa avere questo ruolo?
E’ un lavoro diverso da fare il designer. Devi mettere da parte l’ego, ma avere la capacità di individuare una direzione con l’azienda e cercare di dare dei consigli che diano un po una traccia a quello che l’azienda andrà a fare.
Per esempio, io non voglio fare un art direction “totalitaria”. Penso che se c’è qualcuno con progetti di completamente diversi dai miei è meglio. Diventa più interessante coinvolgere designer con caratteristiche diverse dal sottoscritto. Mi piace la pluralità. Anche da designer ad esempio, ho fatto il progetto con Nendo, ora questo con Ben Gorham, ho fatto un progetto con la giovane designer russa Lera Moiseeva. Mi piace proprio cercare di creare network.
Se dovessi guardarti indietro, a te che esci dalle scuole, come immaginavi mestiere del designer?
Non mi sono mai posto il pensiero di essere designer. Ho fatto design all’università, ma prima ho fatto l’istituto d’arte a Venezia, sezione vetro perché io sono di Murano. Quando studiavo, per me è stato più che altro scoprire che esisteva una professione, un’ università che andava a riassumere tutto quello che per me era normale e che avevo quasi tutti i giorni a Murano, cioè un disegno che diventava un oggetto.
Poi ho scoperto che potevi chiamarlo design, ma non ho mai avuto il pensiero che il lavoro deve essere così o che mi immaginassi qualcosa.