Satellight, la lampada disegnata di Foscarini è uno dei Must Have 2018 selezionati da Arredativo è uno dei progetti di lampade più suggestive tra quelli visti negli ultimi anni: semplice, efficace, funzionale senza rinunciare alla poesia.
Non molto tempo fa abbiamo incontrato il designer Eugeni Quitllet, che ci ha raccontato questo progetto e qualcosa in più del suo lavoro…
Eugeni Quitllet, classe 1972, uno dei suoi primi progetti è la sedia Masters di Kartell, realizzata in collaborazione con Philippe Starck. Nel 2016 M&O, lo ha celebrato come Design of the Year, tante le collaborazioni attive come quella avviata con Foscarini.
Come è nata la collaborazione Foscarini?
Foscarini è per me un azienda che ha sempre saputo giocare con la luce, dandole una forma molto poetica. Ho sempre osservato quello che facevano, interessato all’idea di collaborare con loro. Qualche anno fa ci siamo incontrati e abbiamo iniziato a conoscerci e a parlare per trovare un’idea nuova. Ma ci vuole tempo per conoscersi e mettere le mani ad un nuovo progetto e così finalmente in questi anni abbiamo iniziato questa relazione . E’ stata una bella avventura per cercare, non tanto un oggetto, ma un idea di luce,un’ idea poetica che è come la luce per poi arrivare a darle una forma finale, così è nata Satellight.
Quando si vedono le lampade si pensa siano più difficili come progetti, la luce non sai mai come si comporterà, è davvero così? è più difficile progettare una lampada?
Io nel mio lavoro cerco una forma, cerco di dare anima all’oggetto. Quando lavori con la luce, essa è già un anima da sola, non ha bisogno di altro e arrivare a darle forma è quasi un miracolo. L’idea è stata veramente prendere un pezzo di sole e portarlo per tutti senza forma. La sola forma per poterlo guardare è metterlo sotto una campana di vetro. La forma è così perché la luce vuole tornare al sole e fa questa forma perchè fa pressione.
L’impressione che si ha vedendo questa lampada è che stia volando…
Esatto, è una luce libera, questa è l’idea di una luce che gravita intorno alla nostra vita.
Quando inizi un progetto pensi all’oggetto dove verrà usato o al messaggio che vuoi dare?
Penso a entrambe le cose, ma anche alle altre questioni che sono implicate nel progetto che devono essere pensate tutte insieme perchè alla fine la quadratura di tutto è la cosa più importante. L’oggetto finale andrà a finire nella casa della persona che dovrà utilizzarla e farla sognare. Questo obiettivo finale, l’oggetto non è per me ma è per te.
Lavori con aziende in tutto il mondo lavorando con aziende di nazionalità diverse vedi un approccio diverso?
Io finalmente ho la mia visione personale e la mia poesia formale e intellettuale ma ho capito che mi piace capire il DNA dell’azienda perché l’azienda è formata dal contributo di altri creativi che hanno formato la sua visione e hanno creato questa immagine globale. Cerco di trovare questi elementi che gli danno un’identità e unirli con la mia sensibilità per dargli una forma unica.
Se tu dovessi guardare a quando hai iniziato il tuo lavoro è come te lo immaginavi ?
Io ho sempre una visione realistica di quello che vedo, come una foto e tutto finito con tutte le idee. Dopo devo trovare modo di raccontarle all’ingegnere che deve capire quello che immagino per arrivare a realizzarla, sempre lancio un margine di cambiamento perchè non si sa mai qualcosa può variare nel prodotto. Ma in genere lo vedo sempre preciso così preciso che so che ci saranno dettagli che lo fanno ancora più magico l’oggetto.