Stilla è lo specchio firmato da Serena Confalonieri per Potocco, progetto che segna l’inizio della sua collaborazione con l’azienda friulana. Un accessorio di grande valore estetico, che gioca con forme semplici, ma che allo stesso tempo rivela grande personalità, con dettagli raffinati e ricercati.
Come nello stile della designer, il progetto rileva lo stile ludico e brioso che contraddistingue da sempre i suoi progetti.
Quest’anno la designer era presente durante la Design Week milanese, sia nella veste di designer che in quella di art director per il nuovo brand Mason Edition.
Noi l’abbiamo incontrata e con lei abbiamo parlato delle nuove collaborazioni, dei suoi progetti e come sempre del suo ” fare design”…
Come è nata questa collaborazione con Potocco ?
Potocco per creare questa nuova collezione si è affidata a designer giovani e mi hanno chiamata appunto “briffandomi” su alcuni arredi tra cui un complemento, lo specchio. Doveva essere un connubio tra uno stile giovane e fresco e la tradizione di questa azienda, una realtà impostata per il contract, più seria rispetto al mio modo di progettare. C’era bisogno di avvicinarsi e di trovare un punto medio così, abbiamo sviluppato lo specchio da parete Stilla, a figura intera e si ispira alle gocce di cristallo degli chandelier piuttosto che ai gioielli art deco, con queste forme molto semplici e arrotondate, con questo pomello in alto. La cornice è rivestita in pelle con due sostegni in ottone.
In questo caso si tratta di un’azienda che ha una sua storia, ti hanno chiesto di interpretarla diciamo…
Si si, nel senso di rimanere legata ai loro materiali alle loro forme, un oggetto che ben si integrasse con il resto della collezione, ma mixando con il mio gusto le mie forme e la mia idea di progetto.
In altri progetti tu fai anche da Art Director, come cambia il ruolo?
Vorrei dire che fare l’art director è più facile, ma non è vero. Nel senso che sei più libera e che se l’azienda ti ha chiamato a fare la direzione artistica, vuol dire che avete già comunque un gusto abbastanza vicino, se scelgono te per lavorare sul quel progetto. Sempre comunque nei limiti di costi di produzione e di brief, sei più libero nel dare sfogo alla tua linea progettuale. Quando invece incontri realtà con un’altra linea aziendale, che ti cerca perché sei fuori dai loro schemi, ma allo stesso tempo cercano un avvicinamento per andare avanti in un altra direzione, sei un po’ più limitata, però è comunque molto interessante.
Forse è proprio da questi confronti che si impara poi anche a mediare nel momento in cui devi imparare a portare avanti per conto tuo un azienda.
Perchè capisci da questi incontri con aziende consolidate sul mercato, con prodotti di design che commercialmente funzionano, come far funzionare altre aziende e capire quale è il giusto “punto medio”.
Tu hai fatto anche progetti di grafica, in questo caso cambia il tuo approccio al progetto?
Io sono dell’idea che sia in architettura che in design, anzi sopratutto in architettura, dove molti maestri come Mies van der Rohe o Le Corbusier progettavano in pianta o in prospetto, e se vedi loro piante e prospetti e ne estrai linee e volumi questi sono degli elaborati grafici di un equilibrio incredibile. E penso che anche nel design, dove si, c’è la componente della tridimensionalità anche qui, ma le viste bidimensionali sono comunque dei punti di partenza utili per capire se il progetto funziona ed è equilibrato.
Se ti guardi indietro a quando hai iniziato questo lavoro era così che te lo aspettavi…?
Sono cambiate tante cose, nel senso che uscita dall’università, sono andata a lavorare e all’epoca pensavo che il massimo a cui si potesse ambire, fosse lavorare in uno studio bello, famoso, dove fare cose belle. Poi andando avanti, provando, sia all’estero che in Italia, ho capito che la cosa più bella è invece esprimersi il più liberamente possibile .
Avendo alle esperienze all’estero trovi che nell’approcciare il progetto, ci siano differenze tra Italia ed estero?
Si sicuramente, penso che in generale fuori dall’Italia e se si esclude forse Giappone, perché ha un’altra etica del progetto, sia tutto un po più libero. Nel senso che noi siamo molto influenzati da quella che è la cultura, la tradizione nel bene e nel male. Perché è giusto avere un concept forte, è una cosa che aiuta molto a progettare, ma non tutti progettano così. Nel senso che ad esempio in Giappone, progettano sul gesto, sulle piccole cose, sui dettagli. Secondo me fuori dall’Italia in altri paesi anche europei, la progettazione è più libera, non si sente questa forte eredità.