Arredativo Design Magazine

Conversazioni sul Design in Toscana_ Arredativo incontra ZPSTUDIO

Nuovo appuntamento con il design in Toscana. A raccontarci la loro esperienza di designer sono ZPSTUDIO, atelier di design e architettura, fondato da Matteo Zetti ed Eva Parigi.
Lo studio si occupa della progettazione di installazioni temporanee, spazi espositivi e commerciali e prodotti per l’industria, oltre a promuovere costantemente progetti di formazione sui temi del progetto e del design contemporaneo. Nel 2007 lo studio ha inaugurato una collezione di complementi di arredo prodotti in serie limitata con il nome ZPSTUDIO TOOLS.


Più recenti sono invece le collezioni di Anthropocèni, un progetto di ricerca e design che vi abbiamo presentato tra i Select by Arredativo del 2018 e Diogenèa – A tale of bowls, interessante riflessione sulle forme archetipiche legate al cibo e omaggio all’essenzialità della ciotola. Questo oggetto diventa così una matrice, attraverso la quale mettere a
confronto materie e lavorazioni diverse. Su questa stessa forma vengono applicati molteplici materiali: dal marmo all’uncinetto, dall’erba palustre al legno carbonizzato, dal guazzo d’oro alla terracotta d’Impruneta. Non mancano ovviamente le collaborazioni con brand internazionali quali EGE carpets o Verreum.

Guanadine, alzata in vetro silvered, ZPSTUDIO per Verreum, 2018.


Vi dividete tra architettura e design qual è la parte predominante delle attività dello studio?
Predominanti sono i progetti d’interni, noi ci siamo formati come architetti anche se poi è partita da subito la passione per il design che è diventata un altro pezzo importante della nostra professione. Facciamo interni nell’ambito retail e ci occupiamo anche del project management. Seguiamo anche progetti d’interni per settore hospitality, nei i quali ci occupiamo un po di tutto. Facciamo dei mix tra arredi su misura disegnati e pezzi selezionati o d’occasione, che poi coordiniamo all’interno dei nostri progetti. Quando riusciamo poi, collaboriamo anche con aziende. Da una decina di anni ci dedichiamo all’autoproduzione, quindi allo sperimentare, a costruire intere collezioni di oggetti che progettiamo e realizziamo con gli artigiani. Quando abbiamo iniziato questo era un campo sperimentale, ed è stato divertente, perché nel 2007/2008, abbiamo incontrato altri designer alle prime fiere dedicate e dopo anni ci ritroviamo ancora . Adesso che l’autoproduzione è una pratica corrente, per noi è un settore importante, che ci da occasione di avere subito il prodotto pensato e testato.

Anforeserie di vasi in porcellana
biscuit tinta in pasta, con finitura opaca; su disegno ZPSTUDIO in edizione limitata per Mangani porcellane, 2017


Quale è stato il vostro primo progetto?
Il primo progetto di design è stato fatto per un concorso che abbiamo vinto, una lampada per un azienda italo francese. Era una lampada ricaricabile, pionieristica per il 2001. E’ stato un successo, per noi è stato incredibile avere una lampada prodotta e messa in catalogo dopo un anno dall’ aver vinto un concorso under 35.
Da lì poi abbiamo continuato a fare design. Ma è stato naturale, perché collaborando su progetti d’interni parallelamente cercavamo sempre occasioni per metterci alla prova anche con progetti di design, senza separare le due cose.

Come cambia il vostro approccio al progetto cambiando la scala?
La visione è la stessa, ma cambia il modo di progettare… Per fare design ci vuole un’attenzione al dettaglio quasi maniacale . Anni fa abbiamo collaborato con un’azienda giapponese per progetti di digital device e in quell’occasione ci stupivamo della quantità di tempo impiegato per decidere i raggi di curvatura di alcuni elementi. Questo aspetto è
bellissimo e la cosa che mi affascina di più.
Ovviamente anche in architettura devi avere attenzione, ma è una regia “più generale”, come se lo sguardo si allontanasse. Con il design invece, devi fare un focus ed entrare dentro la materia e devi conoscerla, se no non arrivi in fondo alle soluzioni tecniche .
Su questo aspetto noi siamo stati autodidatti, abbiamo imparato facendo, andando nei laboratori degli artigiani.

Cesta in rame, collezione Anthropocèni, 2016/17; rame crudo tornito in lastra e rifinito a mano; progetto in edizione limitata, in collaborazione con il Museo di etno-antropologia dell’Università di Firenze.


Come vedete in fatto che purtroppo alcune professionalità artigiane stanno sparendo?
Ancora non si sente questo vuoto, ma si sentirà tra qualche anno. Nella realtà fiorentina ci sono dei “superstiti” e uso questo termine perché spesso gli artigiani ci raccontano di quanti colleghi avevano prima, lamentando di essere rimasti quasi da soli. I designer che come noi fanno produzione in serie limitata, possono dare un piccolo contributo a queste realtà.

E l’artigianato 2.0, che ruolo ha avuto nei vostri progetti?
Non ne abbiamo fatto molto uso, ci siamo rivolti più alle tecniche tradizionale. Proprio ora invece stiamo puntando su questo per il prossimo Salone, perché abbiamo trovato una tecnologia che ci piace e una azienda che ci supporta . Noi non siamo mai stati appassionati del mondo maker, ci siamo stati dentro ma non del tutto, abbiamo sempre mantenuto uno sguardo distaccato. Indubbiamente ci piace, ci affascina e l’abbiamo sempre seguito e a volte usato per dei progetti come per la lampada Zeta . E anche quella è una fonte infinita di sviluppi della creatività.


Marble3Loaded, collezione di oggetti da tavolo in marmo stampato 3D, ZPSTUDIO per Desamanera, 2019

Come nasce il progetto ZPSTUDIO tools ?
Nasce dall’esigenza di mettere in un contenitore tutte le sperimentazioni materiali e formali che stavamo portando avanti. Una sorta di catalogo senza mai voler essere una azienda, ma per creare un compendio di oggetti per la casa e l’arredo, mettendo insieme materiali nobili di lavorazione classica, con accenni al 3D e macchine a controllo numerico. Unendo la precisione del lavoro a macchina, all’errore di tipo artigianale e manuale . E’ così che sono nate questi oggetti, che ci hanno dato grande soddisfazione. Quando riusciamo poi inseriamo nuovi oggetti in collezione, anche se ultimamente ci siamo concentrati più su progetti specifici come Diogenèa o Anthropocèni.

Vista d’insieme dei nuovi oggetti, 2017: cesta in rame, brocca Abrek in porcellana bianca, sottopentola in rame e sughero nero portoghese; progetto in edizione limitata, in collaborazione con il Museo di etno-antropologia dell’Università di Firenze.


Oggi si parla molto di design indipendente, quanto questo fenomeno è legato all’autoproduzione che si faceva in passato, che facevano anche alcuni maestri del design?
Moltissimo, io spesso porto l’esempio di Franco Albini, lui era un autoproduttore ante-litteram, aveva un rapporto bellissimo con il suo ebanista, a cui mandava un disegno e insieme realizzavano i prototipi . Questi non erano altro che mock-up, dei modelli, ma al tempo stesso erano autoproduzioni, perché l’architetto metteva mano ai pezzi realizzati con
l’artigiano.
Come cambia il vostro approccio progettuale tra fare una ricerca personale o farlo per un azienda?
Collaborando con un’azienda devi studiare di più, perché devi interpretare il loro catalogo, le loro esigenze. Devi entrare nel loro mondo. Con l’ autoproduzione invece tu sei in regia e in teoria non hai limiti. Per un’azienda è diverso, c’è il mercato, i numeri, l’approccio è più
professionale. Ma per la creatività non cambia .


Secondopiano: Tappeti misto lana realizzati su disegno ZPSTUDIO in edizione limitata, 2018. In primo piano, Tabouret, coppia di tavolini-contenitori in legno e inserti in carta da parati ZPSTUDIO per Dialetto Design, 2018.


Come vivete il fatto che oggi quando si parla di design la questione diventa “Milano centrica”?
Fare design da lontano è stato visto da noi come una difficoltà per tanto tempo. In Italia ci sono dei distretti attivi, ma non si esce dal Milano centrismo. Firenze è stata una città importante per il design ai tempi del Design Radical, che come sappiamo è nato qui. Poi è stato esportato, perché alcuni designer del gruppo Radical sono andati a Milano e hanno creato li più “scuole”. Questo pensiero ci ha scosso i primi tempi, forse dovremmo creare più occasioni e essere più attivi per riportare l’attenzione verso altri luoghi. Ma ad oggi Milano è il centro dell’Europa e quindi non si può non accettare questa cosa e non tenerla come riferimento.
In ogni caso è comunque uno stimolo per cercare occasioni o inventarle qui .

Quando si parla di Design Toscano si torna spesso a parlare dei fasti degli anni ‘60-’70, ma cosa è andato storto?
Chissà, forse quello che non è andato a buon fine è stata la creazione di un sistema, probabilmente si è pensato al proprio cluster. Si è lavorato poco per fare rete, perché per fare questo bisogna mettere insieme molte energie e farlo è difficile .

Ha ancora senso oggi parlare di Design Fiorentino?
Non so se esiste e se ha senso parlarne, certo è che esistono le filiazioni degli allievi dei maestri . Ad esempio Remo Buti ,che è stato professore per un’ intera generazione di architetti, alcuni dei quali sono diventati designer . In questo momento citerei piuttosto quelle entità attive come Source-Design & Networking Agency, che ha creato a Firenze una sorta di piattaforma, una realtà di ricerca e sperimentazione nata forse anche da questa tradizione . Poi ci sono le scuole, ci sono degli elementi di una scuola del design fiorentino, ma non so dire se questo è sufficiente a individuare un filone.
Quando siete usciti dall’università appena laureati immaginavate così il mestiere?
C’è stato un salto enorme, noi ci siamo laureati a fine anni ‘90, ci siamo formati con il sogno delle mega strutture dell’architettura. Facciamo parte di quella generazione di architetti che ha sognato in grande dal punto di vista dell’architettura. Alcuni di noi sono andati all’estero in grandi studi altri invece sono rimasti e han fatto fatica ad adattarsi a una realtà totalmente diversa. Però credo che quella impostazione accademica sia stata importante, ci ha abituato ad andare in fondo nel progetto, a credere che il progetto possa modificare il reale a qualunque scala .