Fino al 22 settembre 2019 il Magazzino delle Idee a Trieste presenta, per la prima volta in Italia, la mostra Vivian Maier, The Self-Portrait and its Double, a cura di Anne Morin, realizzata e organizzata dall’Ente per il patrimonio culturale del Friuli Venezia Giulia in collaborazione con diChroma photography, Madrid, John Maloof Collection e Howard Greenberg Gallery New York. 70 autoritratti, di cui 59 in bianco e nero e 11 a colori, questi ultimi mai esposti prima d’ora sul territorio italiano, raccontano la celebre fotografa attraverso i suoi autoritratti scattati quando ancora, da sconosciuta bambinaia, passava il tempo a fotografare senza la consapevolezza di essere destinata a diventare una vera e propria icona della storia della fotografia. Nel suo lavoro ci sono temi ricorrenti: scene di strada, ritratti di sconosciuti, il mondo dei bambini – il suo universo per così tanto tempo – e anche una predilezione per gli autoritratti, che abbondano nella produzione di Vivian Maier attraverso una moltitudine di forme e variazioni, al punto da essere quasi un linguaggio all’interno del suo linguaggio. Un dualismo. L’interesse di Vivian Maier per l’autoritratto era più che altro una disperata ricerca della sua identità. Ridotta all’invisibilità, ad una sorta di inesistenza a causa dello status sociale, si mise a produrre prove inconfutabili della sua presenza in un mondo che sembrava non avere un posto per lei. Il suo riflesso in uno specchio, la sua ombra che si estende a terra, o il contorno della sua figura: come in un lungo gioco a nascondino, tra ombre e riflessi, in mostra ogni autoritratto di Vivian Maier è un’affermazione della sua presenza in quel particolare luogo, in quel particolare momento. Caratteristica ricorrente è l’ombra, diventata una firma inconfondibile nei suoi autoritratti.
La sua silhouette, la cui caratteristica principale è il suo attaccamento al corpo, quel duplicato del corpo in negativo “scolpito dalla realtà”, ha la capacità di rendere presente ciò che è assente. L’intenzione dell’esposizione – che ripercorre l’incredibile produzione di una fotografa che per tutta la vita non si è mai considerata tale, e che, anzi, nel mondo è sempre passata inosservata – è proprio quello di rendere omaggio a questa straordinaria artista, capace non solo di appropriarsi del linguaggio visivo della sua epoca, ma di farlo con uno sguardo sottile e un punto di vista acuto. Una storia straordinaria. Vivian Maier (1926 – 2009) ha lavorato come bambinaia per 40 anni, a partire dai primi anni Cinquanta e per quattro decenni, a New York e a Chicago poi. Nel suo tempo libero, fotografava la strada, le persone, gli oggetti, i paesaggi; ritraeva tutto ciò che le destava sorpresa, che trovava inaspettato nel suo vivere quotidiano; catturando l’attimo raccontava la bellezza dell’ordinario, scovando le fratture impercettibili e le inflessioni sfuggenti della realtà nella quotidianità che la circondava. Ha trascorso tutta la sua vita nell’anonimato fino al 2007, quando il suo corpus fotografico è venuto alla luce. Un lavoro immenso, composto da più di 150.000 negativi, super 8 e 16mm film, diverse registrazioni audio, alcune fotografie e centinaia di rullini non sviluppati, scoperto da un giovane immobiliarista, John Maloof. Grazie a lui il lavoro di Vivian Maier è venuto allo scoperto lentamente, da bauli, cassetti, dai luoghi più impensati, e la sua opera fotografica è stata resa nota in tutto il mondo. Scattare ritratti era per Vivian Maier una necessità: il modo con cui definiva la propria posizione nel mondo, e quello con cui provava a restituire l’ordine delle cose. Quando i protagonisti dei ritratti erano poveri, lasciava loro una legittima distanza; quando invece appartenevano all’alta società metteva in atto azioni di disturbo facendo in modo che nello scatto risultassero infastiditi. La Maier aveva due facce: quella che accettava la propria condizione, e quella che invece la combatteva cercando di essere qualcun altro. “Ciò che sorprende nella storia di Vivian Maier – afferma Anne Morin, curatrice della mostra – è come questa donna da una parte accetti la sua condizione di bambinaia e, allo stesso tempo, trovi invece la sua libertà nell’essere qualcun altro, la fotografa di strada Vivian Maier; questo dualismo, generato dallo scontro tra le due anime, ha dato vita a una vicenda senza paragoni nella storia della fotografia, che in questa mostra viene raccontata per la prima volta in Italia attraverso i ritratti dell’autrice”.
In copertina:
Vivian Maier, The Self-portrait and its Double_Magazzino delle Idee, Trieste, mostra realizzata da ERPAC
1959_Dimensione immagine: 30,48 x 30,48 cm (12×12 pollici) Formato carta: 50,8 x 40,64 cm (20,8 x 40 pollici)
© Estate di Vivian Maier, per gentile concessione di Maloof Collection e Howard Greenberg Gallery, NY