DEFERRARI+MODESTI è lo studio di progettazione fondato nel 2010 dagli architetti Javier Deferrari e Lavinia Modesti. La sede è nel cuore di Firenze, città storica e città d’arte con una profonda anima contemporanea che vogliamo raccontare in questa nuova conversazione sul Design in Toscana.
DEFERRARI+MODESTI si occupano di interior design, di allestimenti e di design del prodotto. Tra i loro progetti più recenti gli allestimenti in TH01 e TH02, realizzati rispettivamente in Italia e in Cina per Targetti, storica azienda italiana di illuminazione con sede a Firenze.
Lo studio ha collaborato inoltre con importanti aziende di design come Mirage e Marca Corona, per cui ha curato il progetto dello showroom di Sassuolo. E con associazioni e istituzioni come il Museo Piaggio e il PALP, il Palazzo Pretorio di Pontedera, per il quale lo studio ha progettato dapprima, nel 2016, l’allestimento funzionale e in seguito quello di varie mostre susseguitesi in questi anni.
Le anime dello studio come abbiamo detto sono fondamentalmente due: Javier Deferrari e Lavinia Modesti, coppia nel lavoro e nella vita a cui abbiamo rivolto un pò di domande per farci raccontare il loro lavoro e la loro esperienza di progettisti e designer in Toscana.
Progettare è una operazione che può sembrare personale, pertanto come chiediamo spesso alle coppie di designer come è per voi progettare in coppia ?
Si discute, si procede per gradi è sempre un confronto continuo. Abbiamo caratteri diversi, però quando si tratta di progetto siano molto allineati.
Il vostro studio si occupa di vari ambiti: progettazione architettonica, progettazione di allestimenti, architettura d’interni e design. C’è un settore su cui vi piace lavorare di più ?
In verità ci piace operare in tutti questi settori. Siamo architetti e nel nostro percorso professionale abbiamo avuto incarichi diversi in tutti questi ambiti della progettazione. In ogni caso, sia che si tratti un progetto architettonico che dello studio del minimo dettaglio, ogni volta cerchiamo di dare una chiave di svolta al progetto. Andando a interpretare il soggetto e cercando di fare un passo in più, anche rispetto a quello che ci chiede la committenza.
La vostra formazione da architetti vi offre un diverso modo di approcciare al design di prodotto?
Si sicuramente. Diciamo che partiamo da una concezione dello spazio più che dell’oggetto in se.
Vediamo l’oggetto già inserito in un contesto più ampio rispetto a immaginare l’uso stretto dell’oggetto. L’oggetto in questo modo non è una prima donna, ma l’oggetto, fa parte di un contesto .
Potremmo dire che dietro c’è un pensiero diverso rispetto a chi si occupa solo di prodotto, ci conferma Lavinia, in genere si studia la ritualità dell’oggetto, il suo utilizzo, i dettagli innovativi e funzionali che il prodotto potrà avere…
Invece a noi c’è capitato di disegnare sia rivestimenti che oggetti partendo da quello che mancava in un progetto o che ci sarebbe piaciuto trovare in commercio ma non c’era.
E’ successo così per la parete di rivestimento del Ristorante La petite di Firenze . Qui volevamo creare una parete importante, che creasse un effetto ombre e luci, richiamando i rivestimenti lapidei di Firenze. Abbiamo studiato personalmente il rivestimento e grazie ad un artigiano lo abbiamo realizzato.
Anche la libreria modulo ideata come libreria per il progetto d’interni della libreria Brac è stata poi prodotta per un periodo da un’azienda di design toscana. In molti ci chiedevano dove potevano comprarla, così abbiamo pensato di proporle ad ex.t .
Ovviamente la libreria è stata riadattata alle esigenze del brand, studiando il suo linguaggio. E’ nata così la versione nera della libreria, in linea con lo stile del marchio.
Anche voi nelle vostre prime esperienze vi siete avvicinati all’auto produzione ad esempio con kitchen stories. Che ruolo ha avuto questa esperienza?
Nel nostro caso è stato un gioco, anche se è stato un po un volano per il nostro percorso professionale. Le spille furono esposte alla libreria Brac e il periodo corrispose con quello della prima edizione della Florence Design Week. Per quella occasione ci chiesero di allestire una vetrina, ma noi proponemmo un allestimento. Grazie ad un’azienda di Prato che ci dette del materiale di scarto, creammo un installazione fatta con tessuti diversi che scendevano dal soffitto .
Le spille Kitchen Stories Allestimento alla libreria Brac
L’autoproduzione è un processo che ha preso piede proprio in quegli anni, ma credo che oggi il fenomeno stia ormai cambiando forma.
E’ una scelta legata a tanti fattori, che coinvolge oggi e sempre più spesso, che anche designer di un certo livello, che creano la loro azienda e producono in autonomia. E’ un processo a cui guardiamo con ammirazione perché in questo modo i designer portano avanti il loro linguaggio. E’ un passaggio importante, che un giovane non sempre può permettersi. Spesso chi lo fa spesso ha già un nome e può anche permettersi di gestire una distribuzione, che è sempre una parte molto difficile..
Nel vostro percorso avete fatto varie esperienze anche a livello internazionale, che ruolo hanno avuto ?
“Per me è fondamentale, essendo nato in Argentina e avendo vissuto là per 22 anni. Il mio background è diverso e l’influenza di questo in ciò che faccio è innegabile” afferma Javier.
“E’ stato importante per me, aver iniziato a studiare architettura a Buenos Aires. Li ho imparato l’architettura in modo diverso da come si insegna qui. Ho un visione più distaccata dalla storia italiana e i miei punti di riferimento sono senza dubbio diversi .”
“Anche per me è stato importante, ma non è stata una scelta calcolata è stata un’esigenza personale” racconta Lavinia “Per entrambi è fondamentale poter viaggiare e vedere posti nuovi è una cosa che ci accomuna. Anche io ho fatto vari spostamenti ma credo che questo faccia parte del del nostro dna. “
Anche se è consigliabile un’esperienza lavorativa all’estero, per avere una visione diversa basta comunque viaggiare. E’ sufficiente scendere da un aereo per vedere altri luoghi e capire come viene intesa l’architettura o lo spazio pubblico in Spagna piuttosto che in Francia o in Germania .
Ma più che la quantità dei viaggi ad essere importante, è a la forma mentis, avere la curiosità di osservare e comprendere .
Come studio toscano come vivete il fatto che oggi quando si parla di design la questione diventa in genere “Milano centrica”?
Si questo è un dato di fatto. Noi a Milano ci abbiamo vissuto alcuni anni e ci abbiamo lavorato. Conosciamo bene l’ambiente e sappiamo cosa succede ci sono gli studi, c’è l’editoria… Milano è un riferimento imprescindibile, che offre opportunità difficili da raggiungere altrove.
Milano è una città che accogliente, è aperta e questa cosa gli va riconosciuta perché nelle altre città questo non succede. A Milano conta prima quello che fai, dopo viene il chi sei.
In Toscana ci sono molte aziende di design diffuse nel territorio, ma per fare un salto in avanti c’è qualcosa che dovremmo fare?
Forse dimenticare un pò il passato e guardare di più al futuro. Ci sono già alcune aziende che guardano al futuro e ben venga, ma forse andrebbe fatto di più.
Noi ci siamo trasferiti da Milano alla Toscana, nel 2009 quando gli effetti della crisi erano già palesi a Milano ma non ancora a Firenze dove forse è arrivata un po dopo.
Rispetto ad allora oggi leggo un cambio di passo che guarda di più alla contemporaneità.
Lo vedo in aziende di design, come ex.t o Salvadori, che stanno prendendo una visione diversa e innovativa. Quindi diciamo che qualcosa sta cambiando anche in Toscana.
“C’è da dire anche, che negli ultimi anni noi abbiamo fatto soprattutto progetti d’interni, residenze, ristoranti e allestimenti come lo showroom Targetti “aggiunge Lavinia. “Ed essendoci concentrati sugli interni, direi che anche in questo campo, abbiamo notato che se all’inizio c’erano pochi locali in città con uno stile contemporaneo, ora invece ce ne sono molti . Quindi anche in questo campo c’è un processo di cambiamento diffuso, e possiamo leggervi una certa consapevolezza che qualcosa si sta modificando verso l’immagine di un ambiente più contemporaneo.
Sicuramente questo è un bene ma di contro con questa internazionalizzazione non si rischia anche di appiattire in alcuni casi l’originalità?
Sì forse in tal senso possiamo dire che è in atto anche una “pinterizzazione” degli interni in cui sembra che tutto si assomiglia, come accade anche nell’estetica degli appartamenti in affitto .
Ne dobbiamo essere consapevoli, è una conseguenza della tecnologia e della condivisione delle immagini. Penso che sarà un periodo, poi magari qualcuno comprenderà la necessità di cambiare e diciamo che ci sarà da lavorarci .