Analogia Project è lo studio fondato nel 2011 da Andrea Mancuso and Emilia Serra. Lo studio si muove tra progetti per brand di design come Driade, Slamp, Lema, JCP e pezzi da collezione esposti in Gallerie importanti come Nilufar Gallery o Luisa Delle Piane Gallery. Ma mantenendo sempre, in entrambi i casi, una ricerca attenta e un linguaggio sperimentale che rende ogni pezzo unico.
Come Oblù la madia di Fratelli Boffi, un contenitore misterioso, una scatola magica che in parte nasconde e in parte rivela il suo utilizzo. Realizzata in legno di pero e sostenuta da due semicerchi in ottone brunito, è caratterizzata e impreziosita da aperture circolari che rivelano un decoro marmorizzato, quasi come fossero delle finestre, o meglio degli oblò.
Questi decori riprendono la tradizionale tecnica della carta marmorizzata nella variante iper-decorativa a coda di pavone.
Andrea Mancuso dal 2017 è a capo dello studio, mentre Emilia Serra si occupa prevalentemente di ricerca accademica. In occasione del Salone del Mobile 2019 Arredativo ha incontrato Andrea Mancuso che sta portando avanti con il team l’approccio narrativo al design che caratterizza lo studio.
Lo abbiamo incontrato allo stand Frag dove veniva presentata la famiglia di tavolini Motif. Una collezione in cui l’estetica ricca e decorativa dei top si contrappone alla semplicità della struttura in tondino metallico a sezione quadra che definisce le gambe e quattro assi incrociate che le uniscono.
Il disegno del top in cuoio intarsiato viene eseguito attraverso un taglio estremamente preciso delle diverse forme in cuoio, successivamente accostate attraverso una minuziosa lavorazione artigianale. Le possibili varianti di colore rendono il tavolo Motif un oggetto “sartoriale”, personalizzabile con diverse cromie e nuance.
Abbiamo parlato con Andrea che ci ha raccontato un po del loro lavoro a cominciare dal nome dello studio: Analogia Project, da cosa deriva?
Il nome Analogia è nato dalla nostra prima installazione #Analogia01. Una installazione in lana che rappresentava una stanza, e ri-leggeva un idea di design non attraverso gli oggetti ma attraverso una percezione dello spazio, quindi rappresentando un disegno tridimensionale. Guardando questa rappresentazione del design abbiamo trovato “un’analogia”, non rappresentava un oggetto e non lo presentava fisicamente. Questo ha dato il nome al progetto e automaticamente anche allo studio, appunto Analogia Project.
Il vostri progetti di design sono spesso a cavallo tra progetti d’arte e di design. C’è un limite tra arte e design?
C’è un muro, una profonda differenza di approccio al progetto. Si rivolgono ad un mercato diverso sono due cose, che si parlano. si toccano che possono anche influenzarsi a vicenda. Però più che di arte i nostri progetti sono oggetti di design da collezione e serie limitata.
Quando lavorate con le gallerie cambia il vostro approccio al progetto?
Certo, con le gallerie cambia in nostro approccio, uno dei motivi è la facilità di poter arricchire un progetto. Inoltre lavorando si lavora con materiali particolari e con un approccio artigianale, che nell’industria sarebbe difficilmente gestibile. Sia sul prezzo finale del prodotto che per il costo elevato, sia di produzione che di trasporto ecc… Quindi si c’è una libertà ma questo non condiziona il progetto livello di espressività, che è uguale tanto per un progetto per l’industria che per le gallerie.
Come iniziata la collaborazione con Frag?
La collaborazione è iniziata alcuni anni fa, il primo progetto era Popit, uno sgabello “vestito” in pelle. Una collaborazione che arrivata fino a oggi con diverse collezioni che abbiano disegnato per loro. Ci piace molto il loro modo di lavorare perché mettono estrema cura nell’arricchire e modificare i piccoli elementi che portano al progetto finito.
Quando hai terminato i tuoi studi ti immaginavi fosse così il mestiere del designer o hai dovuto imparare qualcosa di nuovo lavorando?
Penso che per questo mestiere più che impararlo sia necessario fare esperienza. Solo attraverso di essa si capisce come approcciare alla fattibilità di un prodotto, anche su una parte ingegneristica. Non dico facendolo direttamente, ma capendo cosa si può fare e cosa non si può fare. Io penso che l’esperienza sia fondamentale, ma il gusto e la sensibilità cambia e continuano a cambiare. La cosa interessante che mi piace crescere e continuare ogni anno a fare collezioni differenti. Da questo nascono nuovi progetti, che poi guardandosi indietro, si scopre che parlano con uno stesso linguaggio che ogni volta si arricchisce e creano una storia che ha un fil rouge…
Viae, una collezione di tavolini ispirati ai ciottoli delle antiche strade romane
I social sono sempre più presenti è stanno cambiando la percezione del design. Come vedi il fenomeno: positivo o negativo anche rispetto all’uso che ne fanno gli stessi designer?
Dipende da come si usano. Può essere una cosa positiva per l’immediatezza della comunicazione, ma allo stesso tempo, non si ha un filtro sulla comunicazione. In ogni caso, attraverso l’uso che se ne fa, attivamente o passivamente, si dà un messaggio corretto, se fatto bene, ed errato se fatto male. Io uso Instagram, ma cerco di comunicare solo le attività dello studio per raccontare i progetti.
Si tende sempre meno a guardare un sito, che rispetto ai Social, spiega le cose in ordine temporale, racconta il progetto, dando tutte le dimensioni e i dettagli per poter capire bene. Solo che la gente passa poco tempo a guarda queste cose a meno che non abbia un interesse reale. Sui social uno cerca comunicazioni veloci, quindi io evito foto di extra, e pubblico prevalentemente questioni di lavoro o work in progress dei progetti.