Favaretto & Partners è lo studio specializzato in Industrial design e progettazione architettonica, fondato nel 1973 dall’architetto Paolo Favaretto. Una realtà consolidata, anche a livello internazionale, che vede alla guida il padre e il figlio.
Dal 2009 infatti è entrato a far parte dello studio Francesco Favaretto, designer e art director dello studio. Lo abbiamo incontrato al Salone del Mobile 2019, allo stand di Potocco, in occasione della presentazione della nuova seduta disegnata dallo studio: TRACK.
Una poltroncina dalle forme rigorose e pulite, una proposta senza tempo adatta a qualsiasi stile e contesto. Caratterizzata dalla struttura delle gambe a “Y” rovesciata in frassino o noce canaletto. Una vera caratteristica tipologica che richiama le sedie anni 50.
Ci siamo fatti raccontare in questa intervista qualcosa di più del suo “fare design” e della collaborazione con Potocco…
La collaborazione del nostro studio con Potocco è una storia meravigliosa che ha iniziato mio padre, più do 30 anni fa quando disegnò la sedia Forcola per Potocco ( progetto che ricevette anche una Menzione al Compasso D’oro). Tutto iniziò così, ed ora anche noi ,che siamo le nuove generazione, dello studio e dell’azienda, ci siamo incontrati e come i nostri padri anche noi abbiamo iniziato a collaborare. Per questo progetto non c’è stato dato un brief, abbiamo presentato quello che vedevamo giusto per Potocco. Ovviamente tenendo conto del know how dell’azienda, per quello che riguarda la lavorazione del legno massello. Inoltre volevano qualcosa di iconico, così abbiamo presentato Track, che è il gesto della gamba retro fronte, segno che la marca. Grazie alle macchine a controllo numerico, che oggi ci permettono di fare lavorazioni come quelle facevano un tempo gli ebanisti, abbiamo creato questa poltrona comoda e iconica.
Nella tua esperienza nel design quanto ha inciso la tecnologia nel fare design?
Sicuramente molto, un tempo il prototipo lo faceva l’artigiano, invece il nostro prototipo di Track lo ha fatto una macchina. Poi la lavorazione passa attraverso un disegno 3D e un designer che oggi può sbizzarrirsi. Ovviamente tenendo presenti i canoni richiesti, ma resta il fatto che siamo molto agevolati dalla tecnologia . Fino a qualche tempo fa, tanti non sapevano neanche quel che stavano disegnando con il computer. Nelle rappresentazioni infatti, c’è stato un periodo di ritorno al minimal e all’essenziale, poi quello delle forme “pirotecniche” ora invece, credo ci siamo “settati” un po tutti.
Noi abbiamo fatto tante sedie, un prodotto che deve avere quattro gambe ed essere comoda, per cui l’estetica è un parametro sindacabile.
Tra i vostri progetti ci sono sedute, armadi, letti, lampade ma anche prodotti molto tecnici …
Io sono entrato a far parte dello studio nel 2009 e prima di allora, i nostri prodotti erano principalmente prodotti per ufficio. Oggi ci occupiamo sia di arredo per ufficio ma anche di contract e living. Diciamo che spaziamo nei due settori al 50%, e la collaborazione con Potocco ne è la prova.
Chiediamo sempre ai progettisti che lavorano in coppia come sia progettare in due, in questo caso ti chiediamo com’è lavorare/ progettare padre e figlio?
Ci confrontiamo 365 giorni l’anno, discutiamo ed è da quello che nasce il prodotto. Poi ci sono anche i collaboratori ed ognuno di loro sviluppa il suo progetto. Il nostro studio crede molto nel team e riteniamo che anche scontrarsi sia molto formativo, infatti facciamo brainstorming continui.
Lavorando con Potocco significa confrontarsi con un’azienda storica, come è stato?
Loro hanno festeggiato da poco i 100 anni di attività e noi i 45 dello studio. I nostri padri sono stati ragazzi insieme. Con l’azienda, per questo lavoro, ci siamo trovati subito, abbiamo solo dovuto spostare il sedile di un centimetro in avanti e basta!
Potocco è nata negli anni in cui il designer era una figura importante per la crescita del design di prodotto. Oggi ci si è dimenticato di questo. Noi lavoriamo con aziende che realizzano prodotti industriali da vendere, perciò dobbiamo fare numeri, non facciamo arte. A volte nelle aziende tutti sanno fare tutto e ti dicono cosa fare. Con Potocco, abbiamo avuto a che fare con un’azienda che riconosce il nostro lavoro, e questa è una cosa che da designer è apprezzatissima.
In oltre 40 anni di attività dello studio c’è un progetto che ha segnato lo studio, che lo rappresenta più di altri?
Agli inizi, lo studio di mio padre ne ha realizzato più di uno. Come la Assisa di Steelcase che ha lasciato il segno, con la caratteristica gamba posteriore che va in avanti, divenuto poi un tratto distintivo dello studio. Poi c’è stato la Agorà per Emmegi, un prodotto ancora forte sul mercato. Da quando sono entrato io in studio, sono cambiate tante cose nel mondo del design. Oggi fare prodotti iconici è difficile, tutto va così veloce. Ogni 5-6 anni i prodotti son già considerati vecchi. C’è una sovrapproduzione ed è difficile identificare uno spartiacque, non saprei dirti.
Però posso dire che frequentando anche il mercato asiatico mi è capitato di vedere delle copie. Ecco, per me quello è un lato positivo, quando le vedo sono felice perché non sono prodotti che rubano al mercato originale, costa 5 volte di meno. Quindi la copia è un piccolo segno che hai fatto un buon lavoro.
Oggi i social sono molto presenti nel design. Non appena vengono presentati al pubblico, sono già fotografati. Trovi questo sia una cosa positiva o no?
Io li trovo una cosa super positiva. Confrontandomi con mio padre posso dire che lui in passato mandava i disegni per via aerea. Occorrevano 30 giorni perché arrivassero a destinazione e nel mentre lui cambiava idea cinque volte. La tecnologia, ci ha permesso di fare questo con un click . Ti permette anche in un certo senso di mettere in secondo piano la fiera. Ci sono brand che tengono la news fino all’ultimo, ma altri i postano tutto continuamente. Per cui uno può pensare in fiera di non andare a vederlo perché sa già com’è.
Per me comunque i social sono un bene. Il mondo cambia velocemente e bisogna adattarsi: prima c’erano i siti web, poi Facebook oggi c’è Instagram e domani chissà …