Rabbit Inhabits the Moon: l’arte di Nam June Paik allo specchio del tempo

Pubblicato il Di in Arte, Eventi

In occasione del 140° anniversario delle relazioni diplomatiche tra Corea e Italia, il MAO Museo d’Arte Orientale di Torino presenta la mostra Rabbit Inhabits the Moon, in partnership con il Nam June Paik Art Center (Yongin, Corea) e con la Fondazione Bonotto (Colceresa, Italia), e con il supporto della Korea Foundation. 

Il progetto espositivo è curato da Davide Quadrio, direttore del Museo, e Joanne Kim, critica e curatrice coreana, con Anna Musini e Francesca Filisetti. L’esposizione si avvale della consulenza curatoriale e scientifica di Manuela Moscatiello (Chargée d’étude, Maison de Victor Hugo di Parigi), Kyoo Lee (curatore della sala dello sciamanesimo, professore di Filosofia alla City University di New York) e Patrizio Peterlini (Direttore della Fondazione Bonotto).

photo credit@Perottino

Rabbit Inhabits the Moon intende stimolare un dialogo dinamico che riflette l’evoluzione del paesaggio culturale e artistico dei due Paesi, in particolare rileggendo l’eredità di Nam June Paik e la sua influenza sulle generazioni contemporanee. Nuove produzioni degli artisti coreani Kyuchul Ahn, Jesse Chun, Shiu Jin, Young-chul Kim, Dae-sup Kwon, Chan-Ho Park, Sunmin Park ed eobchae × Sungsil Ryu, e opere video e installazioni provenienti dalla collezione del Nam June Paik Art Center sono accostate a celebri opere di Paik – perlopiù in prestito dalla Fondazione Bonotto – e a preziosi manufatti tradizionali provenienti da prestigiose istituzioni, tra le quali il Musée Guimet – Musée national des Arts asiatiques, il Museo d’Arte Orientale “E. Chiossone” di Genova e il Museo delle Civiltà di Roma.

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La mostra Rabbit Inhabits the Moon è costruita attorno alla figura di Nam June Paik (Seul, 1932 – Miami, 2006), artista centrale nel panorama culturale del XX e del XXI secolo e considerato uno dei pionieri della video arte. Con una formazione da pianista e musicologo, nelle sue opere Paik pone l’accento sul progresso tecnologico utilizzando un linguaggio contaminato che, agli aspetti legati ai mass media e ai riti di una società capitalistica e commerciale di tipo occidentale, unisce i principi rituali legati alla poesia, alla musica e alla tradizione culturale e sciamanica coreana.

Come si evince sin dal titolo, il topos letterario del coniglio sulla luna, che attraversa diverse culture dell’Estremo Oriente – Cina, Giappone, Corea – fino all’Asia centrale, all’Iran e alla Turchia, è il punto d’avvio da cui si diramano e convivono in maniera organica gli altri nuclei tematici. Ispirato all’omonima installazione di Paik del 1996 – in cui il coniglio della leggenda diventa una scultura lignea che osserva l’immagine della luna all’interno dello schermo di un televisore – nella mostra realtà e immaginazione, tradizione e tecnologia si incontrano, si ripetono e si specchiano, in una sintesi ideale di contenuti che, con un complesso gioco di rimandi e riletture, affiorano nel percorso espositivo. 

Anche l’allestimento, accurato e immersivo, evidenzia la convivenza di simboli, tecniche, materiali e manifatture afferenti a epoche e ambiti geografici differenti, creando un itinerario privo di coordinate cronologiche fisse dove, come in una tessitura, i temi si muovono paralleli, si intersecano e riemergono ciclicamente.

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Elementi tradizionali e rituali della cultura coreana si rivelano attraverso il dialogo tra antico e contemporaneo e un approfondimento, a cura di Kyoo Lee, è dedicato all’esplorazione dello sciamanesimo proprio in relazione alla figura di Nam June Paik. Nella sala polifunzionale del Museo una proiezione sarà dedicata all’approfondimento delle pratiche sciamaniche esplorate dal fotografo Chanho Park.

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Centrale all’interno del progetto è inoltre l’elemento sonoro, musicale e performativo, che compare nelle forme più diverse sia nelle opere di Paik, legate in particolare alla sua partecipazione al movimento Fluxus e al sodalizio duraturo instaurato con la violoncellista Charlotte Moorman, sia nelle rielaborazioni proposte dagli artisti contemporanei. Specificatamente commissionata dal MAO per la mostra è la composizione Sounds Heard from the Moon. Part 2 (2024) di Jiha Park che nella sua ricerca utilizza strumenti tradizionali coreani, tra cui piri (flauto di bambù a doppia canna), Saenghwang (organo a bocca in bambù) e Yanggeum (dulcimer martellato), con un approccio minimalista caratterizzato da ripetizione, variazione e processualità.

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L’installazione Nocturne No. 20 / Counterpoint (2013-2020) Kyuchul Ahn, che propone una rivisitazione della musica di Chopin, è completata da una performance in cui gli 89 martelletti del pianoforte saranno gradualmente rimossi a ogni esecuzione dal pianista, portando alla graduale scomparsa del suono. 

Durante la mostra e per l’inaugurazione la performance sarà attivata grazie alla collaborazione con le pianiste Gloria Campaner e Sun Hee You e con la sponsorizzazione tecnica di Piatino pianoforti.