Magnificat: a Spazio Vito Nesta va in scena la devozione nel nuovo design

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In un’epoca dominata dalla bulimia dell’inedito e da un flusso continuo di oggetti spesso destinati all’oblio, la mostra “Magnificat. Alchimie e devozione nel nuovo design”, a cura di Paolo Casicci, si presenta come una pausa necessaria, un gesto quasi spirituale. In scena dal 4 al 13 aprile presso lo Spazio Vito Nesta, in via Ferrante Aporti 16 (zona Stazione Centrale, Milano), l’esposizione mette al centro il design indipendente come territorio luminoso di ricerca e consapevolezza.

Qui il design non è solo progetto, ma biografia. È gesto artigianale e visione, è parola scritta che si fa oggetto, copywriting materico. È un atto devoto, quasi liturgico, alla materia, al mestiere del fare e al pensiero che lo sostiene. Come nelle avanguardie storiche, ogni autore racconta un mondo. Ogni pezzo è una dichiarazione di senso.

«I designer, gli artisti e i marchi di Magnificat sono stati scelti seguendo un filo preciso», racconta Casicci. «Uniscono alla craftmanship più avanzata una consapevolezza etica e poetica del ruolo del progettista nel mondo. C’è chi crea nuovi materiali contaminando elementi esistenti, chi reinventa i riti domestici, chi trasforma la sostenibilità in bellezza, in modo naturale, senza proclami».

Alchimia, indipendenza, rigenerazione

Tre parole chiave definiscono Magnificat: Alchimia, Atelier, Indipendenza.
L’alchimia è l’attitudine a generare trasformazione, a creare nuove sostanze dal già esistente. L’atelier è il laboratorio continuo, lo spazio mentale prima ancora che fisico, in cui la sperimentazione accade. L’indipendenza è quella dalle logiche dell’industria e dalle mode effimere: una scelta di campo più che una posizione di mercato.

E ciò che Magnificat non è, è altrettanto eloquente: non è l’ennesima rincorsa alla novità. Non è una vetrina di virtuosismi formali fini a sé stessi. Non è un’ostentazione muscolare dell’unicità. È invece un invito alla lentezza, alla riflessione, all’ascolto profondo del progetto.

«Fermare la corsa all’inedito è un fatto etico», sottolinea Casicci. «Vogliamo distinguere il rumore di fondo da ciò che vale davvero la pena raccontare».

Una mostra corale per un tempo fragile

Magnificat nasce anche da un gesto di generosità. Dopo il successo della mostra “Nella pancia del Guerriero” – omaggio di Vito Nesta e Sara Ricciardi ad Alessandro Guerriero – lo spazio di Nesta si apre a una nuova collettiva. Un segno chiaro: solo coltivando pratiche collaborative il design può affrontare le fragilità del presente.

La scenografia della mostra è un altro atto di senso. Realizzata in collaborazione con Slow Fiber e curata dalla mood designer Sabina Guidotti, trasforma l’open space in un’evocazione poetica di un cortile domestico del Dopoguerra. Panni stesi, tessuti sospesi, un bambino immaginario che corre tra i fili: tutto parla di memoria, recupero e rinascita.

I materiali – forniti da eccellenze tessili italiane come l’Opificio, Maglificio Maggia, Quagliotti, Oscalito, Vitale Barberis Canonico – sono scarti nobili, tessuti dimenticati cui viene restituita vita. Una scelta contro lo spreco, ma anche una dichiarazione d’intenti: il design è veicolo di valori, portatore di storie da raccontare.

«Volevamo aggiungere valore alle storie in mostra, ma non in un’ottica commerciale», afferma Guidotti. «Restituire nuova dignità ai materiali scartati è un atto di bellezza e responsabilità».